Ο ζῶγρος – O zο͂γros “Lo zurgo” Lo zurgo di Zagrèo, il Grande Cacciatore Celeste

Quanti di voi si ricordano ancora dello zurgo? Non tanti scommetto. È un oggetto esclusivo dell’artigianato calabro-greco e siculo-greco, di cui non si rinviene nemmeno un esemplare in Grecia, purtroppo divenuto ormai raro anche da noi e che rischia di scomparire definitivamente dalle nostre case, perché nessuno conserva più in un contenitore appeso il pane per l’intero mese o per l’intera settimana, perché il pane si compra fresco tutti i giorni; non c’è bisogno di tenerlo in alto, a contatto con l’aria aperta, in una cesta in vimini, per non farlo ammuffire; in alto, lontano dai topi, dai gatti o da nugoli di ragazzini che si aggirano in casa famelici e furtivi più dei topi, più dei gatti. Lo zurgo, spesso nella variante accrescitiva zurguni, capiente come una cassa, poteva contenere fino a 30 pani e, in tempi di guerra e carestia era probabilmente la migliore cassa: la cassaforte della sopravvivenza, pendente sulla testa dei figli della gleba, come la leggendaria spada di Damocle. Gli storici e gli economisti sanno, anche se non lo scrivono sui libri e si rifiutano di dirlo in pubblico, che le statistiche della povertà si fanno con il consumo procapite del pane: più sei povero, più mangi pane; più sei povero, più dividi pane e stringi la cinghia assieme ai tuoi cum panis – compagni. Eppure, questo grosso paniere, da tutti sottovalutato, anche dall’ISTAT, ha una storia plurimillenaria che ci racconta meglio di qualunque altro reperto presente nelle teche museali delle sovrintendenze provinciali e regionali la nostra evoluzione da cacciatori a coltivatori e, per converso, la nostra attuale involuzione da produttori a consumatori. Esso deriva il nome dal sostantivo greco ellenistico ζῶγρος [zo%gros] “gabbia, nassa”, di cui mantiene inalterata la forma conico-panciuta e la struttura a intreccio circolare in giunco-vimini, culminante in un’apertura nella parte superiore dotata di un coperchio, detto zurgoscépama, dal greco ζωγροσκέπασμα [zogrosképasma]. Alla base etimologica del termine zurgo c’è il verbo del greco antico ζωγρέω [zogréo] “catturo vivo” che si compone di due elementi: ζω [zo] radice di ζωός [zoós] “vivo” e il verbo αγρέω [agréo] “prendo a caccia o a pesca”. Lo zurgo è perciò “la trappola”, la cesta di Zagrèo, una delle divinità più celebri appartenenti al pantheon della Creta minoica. Infatti il nome Zagrèo veniva interpretato già dagli antichi lessicografi come “il grande cacciatore celeste, che prende vive le sue prede”. Come ho scritto nel mio libro Dèi e Zangrèi, si tratta di una divinità del paleolitico, che evoca nei contenuti del nome Zagrèo, l’immagine astrale di Orione, il Cacciatore celeste, armato di rópalon “la clava”, arma con cui stordisce e cattura vive le sue prede. La clava è l’oggetto maggiormente visibile nell’asterismo di Orione. Ecco perché nella Calabria centro-meridionale la Costellazione di Orione viene chiamata in modo metonimico I bastuni. La voce è un evidente calco romanzo del grecanico Ta raddía, neutro plurale di ραβδίον [rabdíon], dal greco antico ράβδιος [rábdios] “randello”. Pitagora diverrà il più autorevole esponente del culto di Zagrèo, ed è pertanto lui che, a nostro avviso, determinerà il cambiamento definitivo di mentalità per cui nello zurgo non entreranno più animali vivi, ma solo il pane, incentivando così uno dei punti cardine della sua dottrina basata sul vegetarianesimo. Di questa remotissima storia fatta di caccia, cattura e allevamento si conserva comunque ancora oggi in Grecia un’importante persistenza nel termine ζωγράκι [zográki] “il graticcio di canna, utilizzato per le chiuse (itticoltura), nella laguna di Missolungi”, abbastanza simile per significato al vocabolo zógrio “vivaio”, utilizzato in Plutarco. Dalla stessa radice di ζωγρ(ον)άκι [zogr(on)áki], presente a Missolungi, si origina nel greco calabro il vocabolo ζουργουνάκ́ι [zurgunáci] “piccolo paniere, panierino, utilizzato anche come cestino portavivande”. Sono connessi infine al termine zurguni anche i cognomi reggini Zurgunà e Sorgonà “fabbricatore di zurguni” e i toponimi Zurgunà (contrada di Motta San Giovanni) e Zurgunadio (casale di Oppido).  Il termine zurgo è presente anche a Messina (Castroreale), con le varianti zuggu (S. Lucia del Mela, Rometta), zùrju (Limina, Melìa, Mola), zùrigu (Antillo), zùgguru (Rodì), a conferma della continuità storico-linguistica, tra le due sponde greche dello Stretto.